Il
poliedrico Giuseppe Grazioli (attualmente trapiantato nelle… Gallie)
dirige il 20° concerto della stagione
23-24
dell’Orchestra Sinfonica di Milano. Concerto antologico, con 5 brani
musicali in qualche modo ispirati dall’Italia (da
Napoli in particolare) a musicisti nostri compatrioti,
ma anche stranieri.
Pubblico
per la verità abbastanza magro… ma non si può sempre fare Mahler o (solo) Ciajkovski!
La
prima parte della serata vede una composizione contemporanea (proprio in prima
assoluta) incastonata fra due brani ottocenteschi che più distanti non
potrebbero esserle (!)
Si
inizia infatti con Jules Massenet e la sua Scènes napolitaines, la quinta
delle sette Suite per orchestra, composte fra il 1865 e il 1882,
che si articola in tre sezioni: ecco qui un’esecuzione (di Michele Mariotti)
cui si riferiscono i minutaggi esposti nel seguito:
1. La danse. Allegro,
6/8, MI minore (poi DO maggiore e MI maggiore). È un saltarello scatenato (e
pure abbastanza stucchevole e ripetitivo, direi) in forma A-B-A’-B’ più breve
introduzione e coda. Dopo l’introduzione sulla dominante SI, ecco la sezione A (4”)
in MI minore; segue (1’21”) la sezione B in DO maggiore. Arriva
ora (1’51”) la sezione A’, MI minore; e quindi (2’35”)
la B’ in MI maggiore. La coda (3’05”) è ancora in MI minore.
2. La procession et
l'Improvisateur. La prima sezione (3’20”) è ovviamente in tempo Lento
e religioso, 3/4, tonalità SOL maggiore. Sono solo 15 battute, chiuse sulla
sensibile FA#. Con un brusco scarto di tonalità (al MIb maggiore) attacca ora la
seconda sezione costituita da una breve introduzione (4’45”) di 5
battute in tempo Allegro, 4/4, seguita dall’esposizione del tema principale,
che sarà poi sviluppato su tre variazioni. Dapprima (4’56”) ecco
l’Andantino quasi Allegretto di 25 battute in tempo di siciliana
(6/8). Segue (5’52”) la prima variazione, nel medesimo tempo, ma assai
più mossa dagli svolazzi di semicrome dei legni. La seconda variazione (6’49”)
è in tempo 12/16, Un po’ ritenuto, e si muove negli archi per
ondeggiamenti su un ritmo puntato. Infine (7’53”) ecco la terza
variazione, in tempo 6/8, Allegro animato: è l’intera orchestra a
ripresentare il tema con grande sfarzo e smaglianti colori.
3. La fête. Allegro,
4/4, DO maggiore. Si apre (8’24”) con rintocchi di campana, sul SI,
poi gli archi e ancora i legni preparano adeguatamente - in atmosfera di
dominante - il terreno per l’arrivo (8’58”) del brillante tema
che si sviluppa con brevi divagazioni a REb e RE maggiore, per poi (12’12”,
alla breve, Più mosso poco a poco) chiudere orgiasticamente l’opera.
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È ora la volta (come nel precedente
concerto) di una prima assoluta: si tratta di un’opera commissionata
dalla Fondazione al 73enne architetto (!) Alessandro
Melchiorre, dal titolo Microliti,
che impegna anche due voci: di soprano (Joo Cho) e di basso-baritono (Nicolas Isherwood).
Il titolo (che si rifà materialmente
a piccoli frammenti preistorici di selce) in realtà è quello di una collana
poetica autobiografica di Paul Celan (ebreo ukraino-rumeno sfuggito per miracolo alla Shoah)
fatta di aforismi e mini-drammi, delle dimensioni dei microliti,
appunto. Melchiorre ne ha musicati sette, così titolati:
1. Introduzione. Kammerkonzert-1
(baritono-soprano). In memoria dei genitori morti in campo di concentramento.
2. Marcia funebre.
Voci e violino (baritono-soprano). Incontro con Ingeborg Bachmann a Vienna.
3. Concertante-1 (soprano).
Incontro con Gisèle Lestrange (sua futura moglie) a Parigi.
4. Interludio-1. Kammerkonzert-2
(baritono-soprano). Incontro (mancato) con Adorno.
5. Interludio-2.
Concertante-2 (baritono-soprano). L’amore per le poesie di Mandel’stam;
brevi passaggi da Rilke.
6. Marcia funebre.
Voci e violino (baritono-soprano). Incontro con Heidegger a Todtnauberg.
7. Kammerkonzert-3
(soprano-baritono). Vita di esule a Parigi; il Maggio francese; la Primavera di
Praga.
Come si può arguire, già
il soggetto dell’opera non è dei più riposanti, per così dire; se poi aggiungiamo
che il buon Melchiorre - da vecchio discepolo di Darmstadt - non ha fatto proprio nulla per addolcirci la pillola… ehm…
ci siamo capiti, insomma. Atmosfere spettrali, canto spesso orientato allo Sprechgesang, insomma un piatto di
digestione complicata, come minimo.
Naturalmente - e come è doveroso - il pubblico non ha lesinato applausi ad interpreti ed Autore, salito sul palco a ringraziare tutti.
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Per ripagarci del… fioretto (so che è
una battuta tanto facile quanto irriverente) è seguito subito, come antidoto
(!?) il celeberrimo Capriccio italiano di Ciajkovski. (Qui
una mia succinta
descrizione
del brano.)
Travolgente, manco a dirlo, il successo
per Orchestra e Direttore.
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Dopo la pausa, di Renzo Rossellini è
stata eseguita la rapsodia Canti del Golfo di Napoli, (qui, da 4’30”) impiegata poi per l’omonimo
balletto del 1954.
Vi scorrono melodie popolari partenopee, su tonalità che si muovono dall’introduzione
lenta in MI minore al LA minore (4’59”) e da qui a LA maggiore (6’29”)
dove si ode la celebre ‘A vucchella, con le irruzioni del flauto. Subentra
subito (7’38”) la tarantella, ancora in LA minore, che si
sviluppa con un altro brusco passaggio (8’22”) al SOL minore.
Lunga transizione su un SI tenuto e poi ecco, in MI maggiore (10’42”),
la famosa Ie te vurria vasà… ripresa ancora da MI minore a maggiore (14’44”). Poi (15’21”) un rapido e ardito passaggio a FA maggiore, LAb
maggiore e LA maggiore. Si torna drammaticamente (16’52”) a LA
minore per l'iniziale tarantella che chiude brillantemente il brano sull’accordo
di LA maggiore.
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La Suite, che evoca
sensazioni ed esperienze di due innamorati in giro per l’Italia, da Venezia a
Napoli attraversando l’Appennino, è strutturata in 4 sezioni:
1. Notte adriatica.
Struttura tripartita: gli estremi lenti (intimità degli innamorati a Venezia) e
la sezione centrale (il carnevale) assai mossa. Scrittura che sfiora l’atonalità
(vagamente richiama la Verklärte Nacht di Schönberg).
2. Echi dell’Appennino:
intermezzo bucolico fra greggi e pastori. Introduzione lenta, con il corno
inglese (cornamusa) in primo piano. Poi poco a poco l’atmosfera si anima e una
danza in tempo ternario si fa largo, fino a sfociare in puro parossismo, a
piena orchestra. Un breve passaggio in 6/8 conduce al tempo di 3/4 della
sezione conclusiva, una specie di lungo sguardo su prati e vallate. Torna alla
fine l’intimità dei due innamorati.
3. Al chiostro
abbandonato: parentesi d’amore in luogo sconsacrato, ma pur sempre… sacro. Introduzione
lenta, primi passi in quel luogo spettrale. Poi la musica si agita poco a poco,
come ad evocare gli antichi fasti del luogo, le solenni cerimonie di cui era
testimone… fino all’inesorabile declino e alla rovinosa caduta. Agli amanti non
resta che allontanarsi mestamente.
4. Natale campano: il viaggio dei due innamorati si conclude a Napoli, entrando direttamente nel clima festoso, che solo temporaneamente lascia spazio a qualche
delicata nenia natalizia. Ma presto è la festa partenopea a riprendere il
sopravvento, fino all’esilarante chiusura.
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Beh, questi brani di Rossellini e Alfano non saranno forse delle
vette della musica strumentale italiana, ma lo specialista Grazioli ce le ha
rese almeno godibili. Quindi, alla fine trionfo per tutti. E tutto sommato, una
proposta intelligente e da apprezzare!